giovedì 25 ottobre 2007
Violenza di genere una questione sociale è urgente una legge
Violenza di genere una questione sociale è urgente una legge
Un uomo compie una carneficina in tribunale, spara, uccide la moglie e il cognato, intervenuto per fermarlo, ferisce l’avvocata e rimane ucciso da due poliziotti sopragiunti dopo aver sentito i colpi. La donna, da un anno, era stata accolta in un rifugio, protetta da altre donne, da quel marito che la maltrattava, l’istituzione non ha saputo offrire lo stesso livello di protezione. Una bimba di quattro anni muore per soffocamento, solo dopo l’autopsia i medici scoprono che da mesi era stata oggetto sessuale dello zio. Sono i brutali eventi che hanno riempito le cronache nelle ultime settimane, non sono i primi,purtroppo, non saranno gli ultimi. Ognuno di questi casi mostra l’inadeguatezza delle istituzioni di questo Paese. Evidenziano l’urgenza di una riforma strutturale che faccia convergere a “sistema” gli aspetti legislativi, il diritto civile e penale e le loro procedure, le norme sul diritto di famiglia. Nel contempo deve prevedere concretamente le modalità di coordinamento tra le forze dell’ordine, le associazioni e la magistratura, ma soprattutto una complesso di regole per assicurare la più completa protezione ed assistenza alla donna che decida di uscire da una condizione di violenza.
Il dato certo è che la violenza sulle donne non è un problema privato, ne notizia da relegare nelle pagine della cronaca nera. E’ una questione sociale e come tale va risolta nella sua dimensione pubblica. Non possono esserci dubbi sul fatto che tocca allo Stato difendere e allargare i diritti delle donne attivando tutti i mezzi necessari per prevenirne la violazione. E’ un assunzione di responsabilità che riguarda tutta la collettività, ma è prima di tutto un dovere della democrazia garantire la vita, la libertà e la incolumità di ogni suo cittadino, lo impongono l’art. 3 della Costituzione e i vari Trattati, Dichiarazioni e Convenzioni a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo,sottoscritti e riconosciuti validi ed in particolare la ratifica della Convenzione contro tutte le discriminazioni contro le donne.
Ogni forma di violenza mostra l’esercizio di un potere che tende a negare l’identità dell’altro; la violenza contro la donna pretende di affermare il dominio su di essa negando la sua personalità; così se vuole liberamente scegliere e si ribella al ruolo che la società o l’uomo le hanno fissato deve essere punita. Questa violenza di dominio, non solo maltratta e uccide le donne direttamente colpite, ma determina un arretramento dei diritti e delle libertà di tutte, questa è la peculiarità, che la rende diversa in quantità e qualità rispetto alle altre forme di violenza, compresa quella esercitata da donne contro gli uomini. Il Parlamento interviene ma.. troppo lentamente, è iniziata la discussione nella commissione Giustizia della Camera sulle proposte di legge presentate, nel frattempo si approvano provvedimenti ispirati da una logica emergenzialista e sanzionatoria assolutamente inadeguati.
Fra le proposte in discussione in commissione c’è anche la nostra, che oltre a rispondere alle direttive internazionali, indica un percorso affinché le figure sociali che quotidianamente trattano casi di discriminazione e violenza sulle donne assumano una professionalità “di genere”. Proponiamo infatti corsi specifici ed obbligatori non solo per la prima formazione ma anche di specializzazione, fino al livello universitario, di tutti gli operatori che si trovano ad agire in questi casi. Definiamo altresì, il ruolo delle Istituzioni, nel promuovere l’autodeterminazione della donna, nel sensibilizzare l’opinione pubblica non solo in occasione di tragici eventi, ma con un impegno costante, rivolto ad attuare piani di intervento mirati e trasversali, che tengano conto della complessità del fenomeno delle discriminazioni di genere.
Servono finanziamenti adeguati che assicurino progetti a lungo termine e prevedano la realizzazione di una rete integrata tra le istituzioni e la società civile già impegnata. Così come si legge nella Raccomandazione 5/2002 del Consiglio d’Europa: “non servono pene più severe, quelle esistenti, se applicate, sono adeguatamente repressive, serve invece un’ampia campagna di prevenzione ed educazione, e rendere effettivi gli strumenti di tutela disponibili, è evitare che al momento della denuncia o della cura la violenza di genere non venga riconosciuta, è evitare che si verifichino ingiustizie al momento dell’applicazione della legge perché i soggetti giudicanti mancano di prospettiva di genere, è riconoscere che la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società, che si basa sull’ineguale distribuzione di potere nelle relazioni fra uomo e donna, incoraggiare la partecipazione attiva degli uomini nelle azioni volte a contrastare la violenza sulle donne, e riconoscere che lo Stato ha l’obbligo di esercitare la dovuta diligenza nel prevenire investigare e punire gli atti di violenza, sia che siano esercitati dallo Stato sia che siano perpetrati da privati cittadini, e di provvedere alla protezione delle vittime..”
Katia Bellillo
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