mercoledì 25 febbraio 2009

NON POSSO RESTARE IN SILENZIO!

Non posso fare a meno di esprimere il mio stupore e disgusto in seguito agli attacchi mossi nei confronti dell' On. Bellillo da parte della Signora Ferilli e non solo. Non posso restare senza dire niente quando una donna che si è sempre messa al servizio delle persone e che ha sempre agito nel interesse degli altri viene ingiustamente attaccata. Non posso restare a guardare mentre una persona che ha sempre lottato a fianco delle persone più deboli e che crede veramente nei suoi ideali e combatte per vederli realizzati ad ogni costo viene ingiustamente accusata di avere dei privilegi. A costo di essere abbandonata dal proprio compagno, a costo di restare lontana dalle sue figlie adolescenti, a costo di venire attaccata pubblicamente, a costo di non avere una vita privata. E queste sono conseguenze di una scelta che è stata fatta, perché chi decide di fare politica deve fare dei sacrifici. Ma come mai una donna umile, che non si fa mai una vacanza per permettere alle figlie di viaggiare, studiare e divertirsi, che non si compra mai un capo firmato, che ha investito tutti i suoi risparmi per assicurare alle proprie figlie una casa per quando saranno adulte, dovrebbe essere mischiata nel minestrone, la Bellillo rappresenterebbe la casta? Mi viene da ridere. Rido perché conosco bene la persona di cui sto parlando. E' la persona che passa ogni capodanno, da anni, con i propri genitori ormai ultra ottantenni, che ha le sue amicizie tra il popolo, le persone comuni, che fortunatamente non mancano mai di sostenerla con il proprio affetto e la loro stima disinteressata. Ecco perché nessuna difesa nei grandi giornali italiani! Il suo sostegno Katia lo trova tra la gente semplice che tira la cinghia e paga le tasse senza usufruire dei servizi di uno stato sempre più patrigno, non è andata a piangere sulla spalla di qualche maschio capo di qualche partito perché è da tempo che lei non si riconosce più nella politica italiana. Sono i giornalisti che per fare scoup sono capaci di far credere che “cristo è morto di freddo”, i politici opportunisti volta gabbana, quelli che per diventare famosi nel mondo dello spettacolo senza averne il talento vendono la propria immagine e sbandierano il proprio corpo nudo e poi si autodefiniscono compagni, è questo esercito di brutture umane che costituisce la casta, sono loro che impongono il loro subdolo potere e dettano le regole, che hanno capovolto ogni valore facendo credere che tutto sia relativo, ai quali è impossibile ribellarsi. E' la legge della giungla, ed il più forte sopravvive, ma chi è qui il più forte? Una parlamentare ha dichiarato le sue opinioni nello svolgimento delle sue funzioni di rappresentante del popolo ed ha espresso le idee delle persone che l'hanno votata. Credo che il senso dell'immunità parlamentare sia proprio quello di difendere questa possibilità. Poi perché non si dice che la grande attrice (sic!) aveva denunciato anche la giornalista del Corriere della sera, che ha utilizzato ciò che avrebbe detto Katia dentro un suo articolo, e il Direttore responsabile e che il GUP del tribunale di Milano ha assolto tutti, in quanto il fatto non sussiste. E perché non si dice niente contro il comportamento a dir poco superficiale della signora Ferilli che dopo aver accettato di fare la testimonial per la campagna referendaria per modificare la disumana legge 40 non è andata nemmeno a votare e successivamente ha dichiarato che la procreazione assistita medicalmente è un accanimento terapeutico? Se il PD perde i voti non è colpa dell'insindacabilità della Bellillo ma per come è stato inventato questo partito e come in questo partito sia stato offerto lo spazio a personaggi così poco seri. E poi perché nei giornali si possono scrivere falsità gratuitamente? Mi riferisco all'articolo di Travaglio dove si dichiara che la Bellillo abbia smentito (come al solito...si aggiunge) la dichiarazione fatta al Corriere della sera, quando è evidente che non è così, perché è chiaro che Katia resta convinta della sua posizione, si capisce dalla lettera di risposta che ha inviato ai giornali. Ha chiarito a suo tempo che l'intervista che è uscita sul Corriere era il frutto di un riassunto ad un discorso più articolato. Perché si può distorcere la realtà così facilmente? Perché sono costretta a leggere senza possibilità di replica queste distorsioni? Morale della favola la Bellillo è “la mandarina”, che tradotto dovrebbe significare “cortigiana”, rappresenta la sinistra snob, la casta, la privilegiata e chi più ne ha più ne metta, la Ferilli invece la grande rivoluzionaria!(sic ancora sic!). Va bene, questo è il punta di vista di chi pretenderebbe di ergersi a giudice assoluto. Ora voglio esprimere il mio pensiero. Per me Katia rappresenta la lealtà, la tenacia, l'umiltà. Per me rappresenta tutte quelle donne che ce l'hanno fatta da sole, che hanno realizzato ogni loro sogno senza stare ad ascoltare questa società che voleva imporgli la scelta tra un tipo di vita e un altro, e un esempio per quelle donne che invece pensano di non potercela fare. Per me rappresenta una persona che nel nome dell'uguaglianza è scesa in piazza andando contro quello che poteva essere il suo interesse personale e la sua immagine per stare al fianco di chi non viene considerato uguale e non meritevole di godere di certi diritti, mi riferisco al world pride del 2000 Per me rappresenta un riferimento solido in questo periodo buio e di disillusione, di perdita di valori, dove i diritti non trovano riconoscimento, dove le opinioni dell'altro non vengono rispettate e ognuno pensa al proprio tornaconto. Per me rappresenta un modello e una madre eccezionale ed è per tutti questi motivi che condivido pienamente le sue dichiarazioni e le sue decisioni, e considero inaccettabili le affermazioni che sono state fatte sul suo conto. Credo di poter parlare in nome di tanti che si sono indignati e sentiti feriti nel vedere trattata con tanto disprezzo l'ultima persona che se lo merita. Non potevo restare in silenzio e senza dire: “ Grazie mamma per essere così!!” Alessandra

martedì 17 febbraio 2009

Negata Piazza Navona, la manifestazione sarà a Piazza Farnese

Negata Piazza Navona, la manifestazione di sabato a Roma “Sì alla vita, non alla tortura di Stato” si terrà a Piazza Farnese.
Il gabinetto del sindaco Alemanno ha comunicato agli organizzatori che non concederà Piazza Navona perché vi devono transitare alcuni carri allegorici di carnevale.

lunedì 16 febbraio 2009

“ORA BASTA!”. 21 FEBBRAIO A PIAZZA NAVONA CONTRO LA DITTATURA OSCURANTISTA

La legge 'Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento' è fortemente limitativa del fondamentale diritto all’intangibilità del corpo e non tiene conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale, oltre ad ignorare l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse. Una legge che nasce dall'imposizione di pochi e non da un confronto costruttivo ed aperto, le opinioni dei cittadini non vengono tenute in considerazione come dovrebbe avvenire in uno Stato democratico, il Governo si sente portatore di una verità assoluta e non ritiene di dover ascoltare gli italiani.
Nel ddl si specifica al punto 6 "che l'idratazione e l'alimentazione artificiale, in quanto forme di sostegno vitale, non possono formare oggetto di dichiarazioni anticipate". La Dichiarazione anticipata di trattamento (DAT) "acquista efficacia" quando "il paziente in stato neurovegetativo sia incapace di intendere e di volere" e "la valutazione dello stato clinico spetta a un collegio formato da cinque medici (neurologo, neurofisiologo, nauroradiologo, medico curante e medico specialista della patologia)". Negli articoli 6, 7 e 8 si afferma che la DAT debba essere "redatta in forma scritta da persona maggiorenne, in piena capacità di intendere e di volere, accolta da un notaio a titolo gratuito" e che pur essendo sempre revocabile e modificabile "ha validità di tre anni, termine oltre il quale perde ogni efficacia". È prevista, inoltre, la figura di un fiduciario che però non è vincolato a rispettare le indicazioni contenute nel documento: l'articolo 7 prevede "la nomina di un fiduciario che, in collaborazione con il medico curante si impegna a far sì che si tenga conto delle indicazioni sottoscritte dal paziente" e l'articolo 8 "garantisce al medico la possibilità di disattendere la Dat, sentito il fiduciario, qualora non siano più corrispondenti gli sviluppi delle conoscenze tecnico-scientifiche e terapeutiche, motivando la decisione della cartella clinica".
Ecco i principi violati da questo disegno di legge:
1) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Il diritto a morire con dignità nel nostro ordinamento, trova un riconoscimento implicito nell'articolo 2 della Costituzione, secondo il quale "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità...".
2) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione riguarda ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”. All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”, ove è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà”,ma ad ogni espressione di preferenze comunque manifestata.
3) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che all'art. 2 protegge il diritto alla vita: “Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ecc.” ed all'art. 3 il diritto all’integrità della persona, non a caso tali articoli sono collocati nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale diritto della persona (art.1). Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.
4) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata della giurisprudenza europea: più volte si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte.
In EUROPA non esiste ancora una disciplina sul Testamento biologico recepibile dagli Stati membri, alcuni dei quali, comunque, hanno adottato autonomamente normative in materia ed il Parlamento Europeo ha sollecitato gli Stati ad emanare una legge sul testamento biologico che rispetti la Convenzione di Oviedo. Molti Stati hanno già una legge in tal senso:
a) BELGIO: e' dal 2002 e' prevista l'eutanasia, su richiesta esplicita del paziente.
b)DANIMARCA: con una legge e' stata istituita un'apposita 'Banca dati elettronica', che custodisce le dichiarazioni anticipate di volontà presentate dai cittadini. In caso di malattia incurabile o di grave incidente, i danesi che hanno depositato il testamento medico - documento che ogni camice bianco e' tenuto a rispettare - possono chiedere l'interruzione delle cure e dei trattamenti e di non essere tenuti in vita artificialmente. Nel caso di sopravvenuta incapacita', il diritto del malato puo' essere esercitato dai familiari.
c) FRANCIA: la materia e' regolamentata con una legge del 2005, che riconosce il principio di rifiuto dell'accanimento terapeutico e prevede che possano essere sospesi o non iniziati gli atti di prevenzione, indagine o cura che appaiano inutili, sproporzionati o non aventi altro effetto che il mantenimento in vita artificiale del paziente.
d) GERMANIA: manca una norma ad hoc, ma il testamento biologico trova attuazione nella pratica e conferma nella giurisprudenza: la Corte Suprema federale, infatti, emise nel marzo 2003 una sentenza con la quale dichiarava la legittimita' e il carattere vincolante della volonta' del paziente, riconducendola 'al diritto di autodeterminazione dell'individuo'.
e) INGHILTERRA: realta' analoga a quella tedesca, nel Regno Unito, dove una consolidata giurisprudenza dal 1993 ha fissato alcune condizioni per la validita' del testamento biologico. I giudici decisero che i medici non avevano l'obbligo di somministrare trattamenti divenuti inutili a seguito della valutazione scientifica della condizione di vita del paziente e che, quindi, non erano rispondenti al suo 'migliore interesse'. Per cui se il paziente non è in grado di accettare o rifiutare i trattamenti e non ha rilasciato in precedenza una dichiarazione di volonta' in materia, una volta informati i familiari, si può legittimamente procedere all'interruzione dei trattamenti.
f) OLANDA: e' notoriamente il primo Paese al mondo che, nel 2001, ha modificato il Codice penale per rendere legali, in alcune circostanze rigorosamente normate, sia l'eutanasia che il suicidio assistito dal medico.
g) SPAGNA: le norme sulle dichiarazioni anticipate di volonta' in Spagna sono contenute all'interno di una legge sui diritti dei pazienti entrata in vigore nel 2003. E' dunque riconosciuta al cittadino maggiorenne la facolta' di manifestare anticipatamente e per iscritto la propria volonta' in merito a cure e terapie cui essere sottoposto, nel caso dovesse perdere la capacita' di esprimerle personalmente. Egli puo' inoltre nominare un suo fiduciario ha il compito di rapportarsi con i medici per realizzare le sue volonta' ed evitare l'accanimento terapeutico.
5) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).
6) il codice di deontologia medica del 1998: all'articolo 30, infatti, prescrive al medico di fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive ed eventuali alternative diagnostico terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Ogni richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. L'articolo 32 prescrive di non intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso informato e che in presenza di documentato rifiuto da parte di persona capace di intendere e di volere, di desistere dai conseguenti atti diagnostici e /o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona, salvo che si tratti di minore di età o di un maggiorenne infermo di mente. Se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita il medico non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso (art.34).
Ignazio Marino, senatore del Pd e chirurgo di fama mondiale , è il portavoce di "una battaglia per la difesa della nostra libertà di scelta sancita dalla Costituzione". Al convegno sulla bioetica promosso dai radicali ha sostenuto la possibilità di indire un referendum nel caso in cui la legge 'Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento' presentata dalla maggioranza venga approvata dalle Camere.
Per combattere l'approvazione di una legge che cancella totalmente la rilevanza della volontà della persona molti Professori di diritto civile delle Università Italiane hanno firmato un documento indirizzato al governo in cui contestano punto per punto le aberrazioni della proposta di legge governativa.
Lorenza CARLASSARE, Andrea CAMILLERI, Furio COLOMBO, Umberto ECO, Paolo FLORES D'ARCAIS, Margherita HACK, Pancho PARDI, Stefano RODOTA' hanno lanciato un'appello "No alla Tortura di Stato" ( http://temi.repubblica.it/micromega-online/ora-basta-14-febbraio-a-piazza-navona-contro-la-dittatura-oscurantista/).
Alla fondazione Veronesi approdano ben 4.000 espressioni di volontà a favore del testamento biologico.
Dobbiamo tutti scendere in piazza per affermare che il rispetto della volontà, la dignità e l'autodeterminazione sono diritti che non ci devono essere sottratti!! Molti si sono mossi, molti altri lo faranno, non dimentichiamo di attivarci anche noi a tutela di noi stessi.
“ORA BASTA!” 21 FEBBRAIO A PIAZZA NAVONA CONTRO LA DITTATURA OSCURANTISTA

sabato 7 febbraio 2009

GRAZIE PRESIDENTE!

Mentre una famiglia vive uno strazio senza fine per dare voce alla volontà della figlia che non può lottare e difendersi da sola il Governo del Paese cerca in ogni modo di impedire ad Eluana di esercitare il sacrosanto e fondamentale diritto dell’individuo all’autonomia e all’autodeterminazione. Il diritto costituzionale di rifiutare le cure: diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes. Purtroppo la questione è politica: è evidente che c'è un problema di democrazia e stato di diritto, anzi ci si deve chiedere se siamo in uno Stato di diritto, se viviamo in uno Stato Laico… Può essere considerato tale un Paese in cui il decreto della Corte di appello di Milano, confermato dalla Cassazione non trova esecuzione e dove il Governo insorge con ogni mezzo contro un provvedimento giudiziario espresso dalla Suprema Corte? Un Paese in cui si assiste inermi di fronte alle ingerenze del Ministro della Sanità Sacconi che minaccia ispezioni ingiustificate e, con l'atto d'indirizzo del 16 dicembre 2008, intima alle strutture sanitarie pubbliche di non dare esecuzione alla sentenza? E che dire della lotta contro il tempo posta in essere dal Governo per interrompere il protocollo di interruzione dell’alimentazione ad Eluana? Unica forza democratica e speranza di giustizia per l’Italia tutta è il Presidente della Repubblica: Napolitano non firma il decreto emesso dal governo relativamente al caso di Eluana Englaro. Il Capo dello Stato, recita una nota del Colle, 'ha preso atto con rammarico della deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri. Avendo verificato che il testo approvato non supera le obiezioni di incostituzionalita' da lui tempestivamente rappresentate e motivate, il Presidente ritiene di non poter procedere alla emanazione del decreto' A questo punto non possiamo che ringraziare il nostro Presidente, unica voce che ci ricorda di vivere in uno Stato di diritto e sperare che Eluana possa vedere realizzata la sua volontà. Poi non ci resta che sperare di non trovarci mai nella condizione di voler esercitare il diritto di rifiutare una cura o un trattamento medico, perché purtroppo l’esercizio di questo sacrosanto diritto, costituzionalmente riconosciuto e garantito a noi sarà negato da una legge iniqua emanata da un Governo che si arroga il potere di stabilire se una cura o un trattamento medico possono o debbono essere imposti senza considerare la volontà del paziente.

lunedì 2 febbraio 2009

Vandana Shiva: "Dalla parte degli ultimi"

Scritto da Giuliano Battiston venerdì 30 gennaio 2009
I «poveri», sostiene la fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva, non sono coloro che sono «rimasti indietro» perché incapaci di giocare le regole del capitalismo, ma quelli che sono stati esclusi da ogni gioco e a cui è stato impedito l'accesso alle proprie risorse da un sistema economico che erode il controllo pubblico sul patrimonio biologico e culturale. Stare «dalla parte degli ultimi» (come recita il titolo di un suo recente libro pubblicato dalle Edizioni Slow Food) non significa dunque dare di più a chi ha meno, ma restituire ciò che è stato sottratto con la forza di leggi ingiuste, difendere i beni comuni dall'assalto avanzato dalla globalizzazione neo-liberista, impedire la brevettabilità delle forme di vita e di conoscenza e costruire una nuova democrazia ecologica. Una democrazia che difenda la biodiversità e riconosca il reciproco condizionamento tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale. Abbiamo chiesto a Vandana Shiva, che da decenni continua a rivendicare il diritto di ogni essere umano a opporsi e resistere - in senso gandhiano - alle leggi che lo esautorano dei suoi diritti, di rispondere ad alcune domande sulla sua pratica di scienziata e attivista. Una delle questioni che lei tende a sottolineare con più insistenza è l'intima connessione tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale. Come spiegherebbe questa connessione a quanti continuano a ritenere che si tratta di ambiti del tutto separati e tra loro impermeabili? Per la maggior parte dei poveri la connessione è evidente, perché le risorse naturali ed ecologiche costituiscono la fonte principale del loro sostentamento, e quando qualcuno se ne appropria indebitamente questo porta da un lato all'insostenibilità ecologica e dall'altro all'ingiustizia sociale ed economica. Mi lasci fare due esempi: se la Coca Cola estrae giornalmente con i suoi impianti milioni di litri d'acqua di cui beneficia di solito una certa comunità, così facendo distrugge il sistema idrico di quella comunità e allo stesso tempo causa una nuova forma di ingiustizia sociale ed economica. Oppure prendiamo la questione della terra: in Bengala, di recente il gruppo Tata ha cercato di appropriarsi della terra dei contadini, ma la sottomissione agli obiettivi dell'industria automobilistica di una terra che offre sostentamento a migliaia di persone non solo toglie fertilità a quella terra e crea una produttività insostenibile dal punto di vista ecologico, ma determina anche una grave ingiustizia sociale. Ed è proprio contro questa ingiustizia che hanno combattuto, organizzandosi, i contadini del Bengala, impedendo alla Tata di costruire sulle loro terre. Sono soltanto due tra i numerosi esempi che dimostrano, tra l'altro, come sostenibilità ecologica e giustizia sociale siano connesse alla pace, perché è proprio dall'ingiustizia sociale e dalla crescita della disuguaglianza che trae origine il fondamentalismo. Secondo l'analisi che svolge nel «Bene comune della terra», «la globalizzazione economica si configura come una nuova forma di "enclosure of the commons", la recinzione delle terre comuni britanniche», ed è volta a privatizzare ogni aspetto della nostra vita, dall'acqua che beviamo alla biodiversità, dal sistema educativo al patrimonio culturale. Ci può spiegare in che modo la globalizzazione è legata alla recinzione dei beni comuni dell'Inghilterra del XVI secolo e quali sono le sue attuali manifestazioni? In Inghilterra, con le recinzioni dei beni comuni ci si è appropriati delle terre dei contadini trasformandole in terreni per la produzione di materie prime destinate all'arricchimento della borghesia emergente e al funzionamento dell'industria tessile. Negli ultimi decenni, attraverso le leggi sulla proprietà intellettuale promosse dal Wto e grazie alle condizioni finanziarie imposte dalla Banca Mondiale con i piani di aggiustamento strutturale e i processi di privatizzazione sono stati inclusi nelle recinzioni proprietarie dei beni di nuovo tipo. Quelli ai quali ho rivolto in particolare la mia attenzione sono le risorse viventi: i sistemi viventi grazie ai quali il pianeta si mantiene vivo e che sono indispensabili per soddisfare i nostri bisogni fondamentali sono stati dichiarati proprietà intellettuale, come fossero una creazione delle corporation: oggi è la vita stessa come bene a venire privatizzata; inoltre, dal momento che i sistemi viventi si accompagnano a particolari tipi di sapere e conoscenza, e che dunque specifici sistemi di conoscenza sono associati a specifiche forme di vita, si cominciano a recintare anche il sapere e i beni intellettuali. È ormai evidente che siamo di fronte a un assalto sferrato verso l'atmosfera così come verso l'aria che respiriamo: le grandi industrie prima recintano l'aria inquinandola e trattandola come un oggetto già morto e di loro proprietà, e poi, una volta che l'inquinamento raggiunge un livello da caos climatico, pensano di farne materia di scambio commerciale. La possibilità di comprare e vendere quote di emissioni inquinanti dimostra che tutti gli attori coinvolti nelle discussioni relative ai protocolli sui cambiamenti climatici credono davvero che sull'atmosfera si possano esercitare diritti di proprietà. Quella compiuta da un manipolo di industrie inquinanti è solo l'ultima, clamorosa forma di recinzione dei beni comuni. Lei è sempre stata molto critica nei confronti del riduzionismo della scienza meccanicistica figlia della rivoluzione scientifica. Ci spiega perché ritiene che il riduzionismo non sia «semplicemente un incidente epistemologico, ma la risposta ai bisogni di uno specifico tipo di organizzazione economica e politica», e perché crede che la scienza moderna costituisca «una giustificazione etica e gnoseologica allo sfruttamento delle risorse» comuni? Sono molti i modi attraverso i quali l'emergere della scienza meccanicistica - e della filosofia riduzionista che ne è alla base - finisce per integrarsi alla crescita dell'organizzazione economica che definiamo capitalismo, promuovendone le regole di funzionamento e favorendone gli interessi. Innanzitutto, l'orientamento riduzionista consente che vengano rimossi tutti i limiti etici allo sfruttamento della natura. Nel periodo in cui questa ideologia andava formandosi, gli scienziati sostenevano che le culture fondate su una visione olistica della natura e del rapporto tra la natura e l'uomo ne ostacolavano lo sfruttamento; per questo è stato necessario un assalto all'idea degli esseri umani come parte della natura e a quella della natura come organismo vivente: la natura è stata uccisa e la terra mater convertita in terra nullius, una terra vuota, priva di capacità produttiva e creativa, un mero amalgama di materie prime. Inoltre, il riduzionismo e la filosofia meccanicistica permettono di esternalizzare i danni dello sfruttamento: il riduzionismo prima fa in modo che la vita possa essere sfruttata e distrutta, e poi, tagliando e sezionando la realtà, fa sì che si possano chiudere gli occhi sulle conseguenze delle nostre azioni. Questo meccanismo viene adottato anche in altri campi: i sistemi viventi sono sistemi complessi, altamente differenziati, che si auto-organizzano, ma l'ingegneria genetica considera le piante come un mero insieme di atomi chiamati geni, che possono essere sezionati, tagliati e spostati, come pezzi di un «Lego», senza conseguenze. Ora, se i contadini indiani muoiono a causa dei prodotti dell'ingegneria genetica, il riduzionismo permetterà di negare che le cause siano da attribuirsi alla tecnologia in sé, attribuendole ad altri fattori. Il riduzionismo, poi, opera come una vera e propria ideologia perché si presenta come l'unica scienza degna di questo nome, assoggettando a sé tutti gli altri sistemi di conoscenza (che sono altrettanto, se non più complessi), oppure negando che si tratti di vera scienza. La degradazione della natura, il passaggio forzato da terra mater a terra nullius è stato condotto anche attraverso quel processo che in «Sopravvivere allo sviluppo» lei ha illustrato introducendo il termine di «malsviluppo», con il quale indica «un modo di conoscenza mascolino», «un modello di sviluppo patriarcale». Ci spiega in che modo «il "malsviluppo" confina le donne alla passività»? Ho adottato il termine «malsviluppo» per indicare uno sviluppo deforme, un malfunzionamento del sistema, e per tracciarne il legame con un approccio patriarcale, che combina la dominazione sulle donne a quella del capitale sulla natura e sugli individui. Il «malsviluppo» confina le donne nella passività innanzitutto trattando la loro conoscenza come se non esistesse. Negli ultimi trentacinque anni ho lavorato con tantissime donne e mi sono sempre più convinta che siano loro i «veri esperti», le uniche in grado di conoscere il funzionamento di un sistema e i modi per proteggerlo, e che il mondo sia in gran parte «prodotto» dalle donne. Ciò nonostante, il sistema di pensiero riduzionista e l'organizzazione economica capitalista hanno escluso o sottostimato i contributi delle donne inducendoci a credere che il lavoro, fondamentale, di «mantenere la vita» non sia un vero e proprio lavoro, perché non produttivo. Secondo quel sistema di pensiero infatti una donna che mantiene la propria famiglia non produce nulla, e una comunità che soddisfa tutti i propri bisogni alimentari ma non vende o compra alimenti non produce cibo e non contribuisce alla «crescita» e allo «sviluppo». L'adozione di questo criterio di misura ha portato al «malsviluppo» e con esso alla distruzione della natura, allo sfruttamento del «capitale naturale», e, insieme alla negazione dei bisogni fondamentali, la crescita della povertà. Secondo la sua analisi, dovremmo abbandonare l'attuale economia suicida e promuovere un atteggiamento culturale che esprima «un radicamento profondo alla terra e alle specificità del luogo in cui si origina, ma anche un sentimento di solidarietà per tutto il genere umano, una coscienza universale». Qualcuno potrebbe osservare che, nella pratica, si tratta di obiettivi opposti, perché l'ancoraggio alla specificità contraddice il richiamo alla solidarietà universale. Come risponderebbe a questa obiezione? Risponderei che è molto semplice, direi inevitabile, conciliare le due dimensioni: abitiamo tutti su un unico pianeta, e questo significa che la «terra» è la stessa, ma allo stesso tempo ognuno proviene da un luogo particolare, da un «terreno» specifico. È un'eredità della filosofia riduzionista l'idea che si diano opposizioni del tipo «questo oppure quello». Per quanto mi riguarda, la mia formazione nella teoria dei quanti, che esclude l'idea che ci siano elementi incompatibili e reciprocamente alternativi in favore di una concezione basato sulla congiunzione «e», mi porta a credere di poter disporre di un'identità profondamente locale, radicata nella valle dell'Himalaya dove sono nata e cresciuta, e insieme completamente planetaria, e che queste due forme di identità si tengano insieme senza contraddizioni. Anche i recenti attentati terroristici di Mumbai sono frutto dell'erosione delle forme di identità multiple a cui mi riferisco. Coloro che sono vulnerabili e «disponibili» a essere arruolati, pagati o sfruttati dagli estremisti di turno per compiere azioni di terrorismo sono quelli che sono stati allontanati a forza dalla loro terra, che sono stati resi superflui ed «eccedenti» rispetto alle proprie società; oppure quelli che vengono mobilitati e reclutati attraverso la costruzione fittizia di identità che si escludono a vicenda sulla base dell'opposizione «o questo o quello». In realtà, non si dà mai solo «o questo o quello», ma sempre un «questo e quello»: riusciremo a svincolarci dall'eredità delle identità incompatibili solo coltivando la nostra responsabilità verso il luogo particolare da cui proveniamo e insieme la consapevolezza che siamo parte di un'umanità comune, che condivide lo stesso pianeta.
Da Il Manifesto

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