Un sentenza esemplare assolutamente laica della Cassazione che con la sentenza 46300/2008 ha rigettato la pretesa di giustificare in nome della diversità i reati “culturali”, i comportamenti violenti degli uomini contro le donne devono essere condannati non c’è religione che tenga! Abdellilah F. di 52 anni, abitante a Torino di religione islamica è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, violenza sessuale ai danni della moglie e violazione degli obblighi di assistenza familiare. La difesa ha sostenuto che non poteva essere condannato in quanto “portatore di tradizioni sociologiche che confliggono con le norme penali italiane”. Ma i magistrati della Cassazione hanno replicato che di fronte ai “reati culturali il giudice non può sottrarsi al suo compito di rendere imparziale la giustizia in base alle norme vigenti”. Le norme vigenti ma vorrei scomodare anche la Costituzione italiana, in Italia siamo tutti uguali e le donne hanno gli stessi diritti degli uomini. Una sentenza che finalmente ribadisce la laicità del nostro Paese e ci ricorda che le norme garantiscono il pluralismo non la multicultura.
martedì 23 dicembre 2008
martedì 9 dicembre 2008
25 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
(Dal sito ONU italia http://www.onuitalia.it/ )
Quarantacinque anni fa Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, eroine della lotta di liberazione della Repubblica Dominicana dal dittatore Trujillo (1930-1961), furono fermate da agenti segreti del servizio militare, mentre si recavano a fare visita ai loro mariti in prigione, assieme alla sorella Patria. Dopo avere subito numerose torture furono chiuse nell’abitacolo della macchina nella quale viaggiavano e spinte in un precipizio, al fine di simulare una morte accidentale. Oggi sono il simbolo internazionale della battaglia contro la violenza alle donne.
L’Onu ha reso indelebile il loro ricordo nel 1998, proclamando il 25 novembre, anniversario della loro morte, la giornata internazionale contro la violenza alle donne. La bellezza e la vivacità delle quattro sorelle Mirabal, soprannominate ‘las mariposas’, le farfalle, sono ancora oggi ricordate in tutta l'America Latina e nel mondo.
La violenza contro le donne e le ragazze è un problema di proporzioni dilaganti. Quasi una donna su tre nel mondo è stata picchiata, ha subito coercizione sessuale o ha subito altro genere di abusi durante la propria vita – quasi sempre da qualcuno che la conosceva. La violenza contro le donne e le ragazze è un problema universale di proporzioni dilaganti. E’ forse la violazione più grave dei diritti umani che conosciamo al giorno d’oggi, devasta vite, crea fratture nelle comunità e blocca lo sviluppo.
Le statistiche dipingono un quadro orribile delle conseguenze sociali e di salute della violenza contro le donne. Per le donne di età compresa tra i 15 e 44 anni, la violenza è una delle maggiori cause di morte e disabilità. In uno studio del 1994, basato sulle statistiche della Banca Mondiale tra 10 fattori di rischio selezionati che la donne di questa età affrontano, lo stupro e la violenza domestica hanno un tasso d’incidenza più alto del cancro, incidenti stradali, guerre e malaria. Molti studi hanno inoltre rilevato crescenti collegamenti tra violenza contro le donne e l’HIV/AIDS. Le donne che hanno subito violenza sono esposte ad un alto rischio d’infezione da HIV: un sondaggio tra 1.366 donne sud africane ha mostrato che le donne picchiate dai genitori hanno il 48% in più di possibilità di venire infettate dall’HIV rispetto a quelle che non sono state picchiate.
Solo nel 2006, secondo i dati Istat, le donne italiane vittime di violenza sono state 1 milione e 150 mila pari al 5,4% del totale. Il 3,5% ha subito violenza sessuale, il 2,7% violenza fisica; 74 mila (0,3%) invece le donne che hanno subito stupri o tentativi di stupri. Nella maggior parte dei casi la violenza sessuale e' stata opera del partner (69,7%) o di un conoscente (17,4%), mentre nel 6,2% dei casi di uno sconosciuto. Sono 1 milione e 400 mila le ragazze che hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni.
Per saperne di più visita il sito http://www.unifem.org/
giovedì 4 dicembre 2008
Informativa di Amnesty sulla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne
“Nel 1981, la prima riunione del movimento femminista dell’America Latina e dei Caraibi dichiarava il 25 novembre Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in memoria dell’uccisione delle sorelle Mirabal da parte delle forze di sicurezza del governo Trujillo, avvenuta nelle Repubblica Dominicana nel 1960. Nel 1999, le Nazioni Unite dichiararono il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nel 1979 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), che richiede espressamente agli Stati parte di “adottare appropriate misure per eliminare la discriminazione nei confronti delle donne da parte di qualsiasi individuo, organizzazione o entità”. Da quando la Cedaw è stata adottata, numerosi e significativi passi sono stati fatti nel riconoscimento e nell’attuazione dei diritti umani delle donne. Nel 1992, ad esempio, il diritto delle donne ad essere libere dalla violenza è stato sancito a livello internazionale con l’adozione, da parte del Comitato della Cedaw, della Raccomandazione generale n. 19 che definisce la violenza sulle donne una forma di discriminazione. Ma ancora molto può essere fatto, e la campagna “Mai più violenza sulle donne” di Amnesty International lo sollecita con forza. Accanto alla discriminazione (che è una delle principali cause, insieme alla militarizzazione delle società e ai conflitti armati, della violenza sulle donne) vi è anche l'impunità, che è la ragione per cui la violenza si perpetua. Fino a quando coloro che si macchiano di atti di violenza contro le donne continueranno a commettere i loro crimini impunemente, il ciclo della violenza non sarà spezzato. La violenza può avvenire in nome della tradizione, della cultura o della religione, arrivando anche nei luoghi più intimi e privati per mano degli uomini con i quali le donne condividono le loro vite. Discriminate nell’accesso ai diritti economici e sociali e ben lontane da una partecipazione piena ed eguale nella sfera politica e decisionale, le donne hanno ancora bisogno di sostegno.”
(Amnesty International)
martedì 2 dicembre 2008
NEWS: Direttiva sulla parità tra i sessi: la Commissione procede contro sei paesi
La Commissione ha inviato pareri motivati a sei paesi sollecitandoli ad attuare appieno la normativa dell’UE che proibisce la discriminazione nell’accesso al lavoro e nell’occupazione a motivo del sesso. L’Austria, la Lituania, la Slovenia, l’Ungheria, l’Italia e Malta hanno due mesi di tempo per rispondere. Tra i principali problemi riscontrati vi sono le definizioni di discriminazione diretta e indiretta, il diritto delle donne a un congedo di maternità e il funzionamento degli organismi preposti ad assicurare la parità. Dei pareri motivati analoghi sono stati inviati alla Finlandia e all’Estonia nel giugno 2008. Le analisi sono ancora in corso per quanto concerne gli altri Stati membri. L’anno prossimo la Commissione presenterà una relazione sull’attuazione della direttiva come prescritto dalla normativa vigente. In caso di mancata risposta o se la loro risposta fosse insoddisfacente la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia europea. Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione europea di presentare entro la fine del 2009 delle proposte legislative per garantire una migliore attuazione delle norme UE in materia di parità retributiva tra donne e uomini. Ha raccomandato quindi di valutare la situazione e i sistemi di classificazione delle professioni, ampliare il mandato degli organismi di parità, adottare misure per prevenire le discriminazioni e rafforzare la dimensione di genere, nonché di inasprire le sanzioni.
Data di pubblicazione: 30/11 /08
IL CASO ENGLARO
Elena Angiolini
Associazione Ossigeno onlus
Nelle ultime settimane l'opinione pubblica si è divisa sul caso di Eluana Englaro, la sfortunata ragazza che, a seguito di un grave incidente stradale, vive da diciassette anni in stato vegetativo, senza alcuna speranza di riprendere coscienza, alimentata da un sondino nasogastrico. Lo stato vegetativo irreversibile di Eluana si differenzia dal coma profondo, in questo caso il paziente respira autonomamente pur senza coscienza, a causa della corteccia cerebrale necrotizzata. Di Eluana invece è rimasto solo un corpo attaccato ad un macchinario che gli impedisce di morire ma anche di vivere. Naturalmente, la condizione di Eluana ha suscitato delle forti controversie tra laici e la famiglia Englaro da una parte e settori importanti cattolici con l'Osservatorio Romano dall'altra.
Da una parte c'è il padre di Eluana che lotta per difendere l’idea che sua figlia aveva della vita e perché possa finalmente morire, giudicando la condizione in cui è costretta sua figlia un disumano atto che mantiene in vita un corpo inerme, il cui cervello non ha più alcuna possibilità di riprendere qualche funzione celebrale, un’ atroce violenza.
Dall'altra parte, i cattolici fondamentalisti e l'Osservatorio Romano non vogliono che sia staccato il sondino poiché,secondo il loro punto di vista, tale azione costituirebbe un macabro omicidio.
Il caso Englaro, insieme ad altre questioni fondamentali , tra cui l'aborto e la procreazione assistita, fanno emergere la forte dicotomia che esiste in Italia nel rapporto tra i diritti delle persone e la religione e la difficoltà a declinare nelle reti delle istituzioni la laicità. In uno Stato democratico, una religione, sebbene maggioritaria nel Paese, può imporre la propria cultura tanto da influenzare la qualità delle norme e dell’ordinamento preposto a garantire la civile convivenza? Fino a che punto le gerarchie ecclesiastiche possono decidere e sentenziare sulle scelte private e sulla libertà delle persone?
Nel caso specifico, sono dieci anni che il padre di Eluana si scontra con la concezione cattolica sulla vita e sulla morte che non sembra essere la stessa condivisa da sua figlia, amante della libertà e della vita stessa che non avrebbe mai voluto rimanere prigioniera di un corpo ormai privo di qualsiasi emozione e che lei non può e non potrà più controllare. Eppure, nel nostro ordinamento giuridico esistono norme che garantiscono ai cittadini l’esercizio dell'autodeterminazione che la Corte di Cassazione ha messo in evidenza nella sentenza emessa il luglio scorso.
E’ la nostra Costituzione che riconosce pari dignità ad ogni persona, insieme alla libertà di opinione e di religione. Tutti hanno il diritto di professare le proprie idee e il proprio credo e decidere come vivere la propria vita. Ciò che la Costituzione delinea è la categoria del rispetto, il limite che ognuno dovrebbe stabilire nel rapporto con l'altro e che lo Stato deve sancire attraverso le leggi che fissano le regole all’interno delle quali va salvaguardata la civile convivenza.
Quali diritti ha Eluana? Perché una parte delle gerarchie della Chiesa cattolica può permettersi di essere così invasiva nei confronti della vita privata delle singole persone?
I fondamentalisti giustificano questo accanimento, contrario all'interruzione dell'alimentazione tramite sondino, per proteggere le persone in stato vegetativo dal cinismo e l'egoismo con cui i familiari o i tutori legali potrebbero affrontare la condizione dei propri assistiti o familiari.
Ma quello che strumentalmente non vogliono capire è che l’eventuale legge non obbliga nessuno ma garantisce esclusivamente la possibilità di decidere.
Di fronte ad un vuoto legislativo, che non garantisce una normativa uguale per tutti (come per esempio l'istituzione del testamento biologico), le sentenze precedenti a quella della Corte di Cassazione hanno respinto l'istanza della famiglia Englaro con la motivazione che nessuno poteva decidere della vita di un altro senza tenere conto della posizione che avrebbe avuto la stessa Eluana, che non avrebbe mai permesso ad altri di ridurla nelle attuali condizioni. In questo caso il padre sa decisamente meglio di qualsiasi fondamentalista quale fosse l’idea che sua figlia aveva della vita e in che modo valesse la pena viverla. Con la sentenza della Cassazione, per la prima volta Eluana viene ascoltata e viene ridata importanza al quel concetto di vita e di dignità che la ragazza aveva: un' idea di dignità della vita che non corrisponde al rifiuto della morte poiché come dice Don Gallo “la morte in realtà non è altro che la continuazione della vita”.
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